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LE LEZIONI AMERICANE,

un testamento incompiuto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1984 Italo Calvino fu invitato dall’Università di Harvard, a Cambridge nel Massachusetts, a tenere un ciclo di sei conferenze per l’anno accademico 1985-86, sul tema della letteratura nell’ambito delle Poetry Lectures dedicate al critico dantista Charles Eliot Norton. Le Norton Lectures presero avvio nel 1926 e, negli anni, sono state affidate a prestigiose personalità del mondo letterario, musicale o figurativo come T.S. Eliot, I. Stravinsky, J.L.Borges e, dopo Calvino, primo scrittore italiano a cui furono proposte, anche a Umberto Eco nel 1992 e a Luciano Berio nel 1993. Calvino aveva completato tutte le lezioni tranne l’ultima a causa dell’ictus che lo avrebbe colpito; secondo la moglie Esther Judith Singer l’ultima lezione avrebbe trattato il Bartleby di Melville e Calvino l’avrebbe scritta durante il soggiorno negli Stati Uniti. Anche le conferenze non furono mai tenute infatti il libro che le raccoglieva fu pubblicato postumo nel 1988 in inglese, col titolo Six Memos for the Next Millennium. Il titolo Lezioni americane invece, la cui prima edizione uscì presso l’editore Garzanti di Milano, fu desunto dal modo in cui le definiva Pietro Citati, quando andava a fare visita a Calvino.

Si tratta di un’opera affascinante, un bellissimo viaggio attraverso la letteratura occidentale che fa riflettere ed emozionare.  Calvino fa riferimento ad autori e testi della letteratura e della mitologia attraverso i secoli e riesce a combinarli in una trattazione coerente e metodica non perdendo mai di vista il filo conduttore della caratteristica esaminata. Riflettendo sul nuovo millennio infatti Calvino sceglie sei parole chiave che, a suo parere, dovranno caratterizzare la letteratura: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza (solo progettata).

“Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza“, così lo scrittore apre il ciclo di lezioni.

In quarant’anni di scrittura di fiction, si era reso conto di aver attuato una sottrazione di peso alle figure umane, ai corpi celesti, alle città, alla struttura del racconto e al linguaggio. Se non si trova il modo di evitare la pesantezza e l’opacità del mondo, aveva scritto, queste qualità si attaccano alla scrittura che non risulta più animata da “agilità scattante e tagliente”; la leggerezzadunque andrebbe perseguita come reazione al peso del vivere.  Il nuovo secolo é l’età dell’informatica e del virtuale ma allo stesso tempo non smette di trarre  insegnamento dai miti classici come quello di Perseo, eroe della leggerezza, che si difende da Medusa, simbolo della pesantezza della realtà, con lo scudo di bronzo, filtro tra lui e il mostro. La stessa funzione di mediazione dello scudo su cui si riflette Medusa, è svolta dalla letteratura e lo scrittore, che ha il dovere di rappresentare la realtà, deve evitare la pietrificazione, sfuggire “allo sguardo inesorabile della Medusa”. Per uccidere la Gorgone senza farsi pietrificare, Perseo ne rifiuta la visione diretta, la vede riflessa nello scudo, indossa dei sandali alati e custodisce in un sacco la testa anguicrinita per usarla come arma contro i suoi nemici. Suggestivo il passo in cui Calvino, riprendendo l’Ovidio delle Metamorfosi (IV, 740-752), spiega che Perseo è costretto a posare la testa di Medusa per lavarsi le mani e, affinchè il volto del mostro non ne sia danneggiato,  rende soffice il terreno con uno strato di foglie e ramoscelli marini che, a contatto con la testa mostruosa, si trasformano in coralli. Dal sangue della Medusa poi nascerà Pegaso, il cavallo alato caro alle Muse, altro esempio in cui la durezza pesante della pietra si trasforma nel suo contrario.

Procedendo nella lettura Calvino ci fa scoprire altri esempi di leggerezza e luminosità in Montale, Kundera, autore de L’Insostenibile Leggerezza dell’Essere, in cui la leggerezza diventa appunto insostenibile perché la pesantezza del pensiero umano non riesce a concepirla; cita ancora  Lucrezio che vuole scrivere il poema della materia costituita però da atomi invisibili,  Boccaccio nella novella del Decameron dedicata a Guido Cavalcanti, Dante, il Cyrano de Bergerac di Rostand, Leopardi, E. Dickinson, Kafka.  In Romeo e Giulietta di William Shakespeare, Romeo dice a Mercuzio“Under love’s heavy burden do I sink” ((Io sprofondo sotto un peso d’amore) e lui risponde You are a lover; borrow Cupid’s wings / and soar with them above a common bound.(Tu sei innamorato; fatti prestare le ali da Cupido e levati più alto d’un salto.) “Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume”, diceva Paul Valery. In relazione alla seconda caratteristica, la rapidità, Calvino la introduce riprendendo una vecchia leggenda su Carlo Magno riportata dallo scrittore francese Barbey d’Aurevilly: in essa si parla di un anziano che s’innamora di una giovane, di un’ossessione necrofila, poi di una propensione omosessuale, infine della contemplazione malinconica del lago di Costanza in cui viene gettato l’anello. Il vero protagonista del racconto dunque è l’anello magico che determina le relazioni e i movimenti dei personaggi, così avviene nelle saghe nordiche e nei poemi rinascimentali come l’Orlando Furioso di Ariosto. Esistono diverse versioni della leggenda di Carlo Magno, una in latino di Petrarca, una del veneziano Sebastiano Erizzo, un’altra di Giuseppe Betussi in un trattato sull’amore, un’altra ancora di Gaston Paris. Ciascuno compie la sua operazione sulla durata: c’è chi dilata i tempi narrativi, chi li contrae, chi sorvola o censura alcune fasi. Calvino afferma di preferire la versione di Barbey d’Aurevilly per l’economia del racconto. Non si tratta solo di tagliare, abbreviare, sintetizzare: io stessa in questa veloce analisi dell’opera di Calvino sto privilegiando di volta in volta un aspetto piuttosto che un altro. L’iterazione e la digressione sono strumenti formidabili dello scrittore: grazie ad essi egli può dimostrare “l’agilità del ragionamento, l’economia degli argomenti, ma anche la fantasia degli esempi”, qualità del pensar bene, dice Galileo. E così c’è lo scrittore famoso per le sue digressioni come Sterne, il cui esempio sarà seguito da Carlo Levi, e chi invece eccelle nelle short stories come Borges. In ogni caso lo scrittore deve tener conto del tempo di Mercurio, che reca un messaggio d’immediatezza e di partecipazione al mondo che ci circonda e del tempo di Vulcano, che forgia la materia con aggiustamenti pazienti e meticolosi. Festina lente, dicevano i latini.

La terza caratteristica,  l’esattezza, per Calvino é un disegno ben definito, l’evocazione di immagini nitide e incisive così da essere definiti icastici, un lessico preciso. L’uomo si esprime in modo sempre più confuso e approssimativo come se la parola avesse perso peso e misura, le stesse immagini hanno perso forma e sono divenute inconsistenti, svaniscono come i sogni e lasciano una sensazione di alienazione e di disagio. Per spiegare l’esattezza ricorre a un passo dello Zibaldone in cui Leopardi, poeta del vago inteso come indefinito ma anche come piacevole, diventa poeta della precisione.  Per descrivere l’infinito ossia la massima espressione del vago si avvale dell’esattezza.  Esattezza e indeterminatezza si ritrovano anche nel romanzo di Robert Musil, L’uomo senza qualità. Cita Paul Valéry, che ha definito la poesia ” tensione verso l’esattezza” e la massima di Flaubert, Le bon Dieu est dans le dètail. Anche raccontando la storia più semplice non c’è limite alla minuziosità.

La visibilità è il tema della quarta lezione: Calvino si chiede se sarà possibile la letteratura fantastica del Duemila data l’inflazione di immagini. Lo scrittore ipotizza la possibilità di riciclare le immagini in un nuovo contesto oppure annullare l’esistente e ripartire da zero. Per definire l’immaginazione,  “l’alta fantasia”, ricorre a una citazione dantesca tratta dal Paradiso, per Dante le immagini piovono dal cielo, sono cioè ispirate direttamente da Dio; per gli scrittori moderni invece l’inventiva parte dall’individuo, da una sorta di inconscio individuale o collettivo. Esistono due processi immaginativi: quelli che partono dalla parola e giungono all’immagine visiva ed è ciò che accade quando leggiamo un libro che in noi evoca immagini, e quelli che partono dall’immagine per giungere all’espressione verbale, come avviene per il cinema in cui il regista è partito dal testo scritto per ricostruire la fisicità del racconto, fotogramma per fotogramma. Per Calvino, all’origine di ogni racconto c’è sempre un’immagine visuale, carica di significato. Allo stesso modo da qualsiasi terreno,  anche dal libro più tecnico o astratto di scienza o di filosofia si può essere stimolati alla fantasia figurale; purtroppo stiamo correndo il pericolo di perdere la capacità di focalizzare immagini a occhi chiusi e di pensare per immagini. Tra i diversi richiami e citazioni, Calvino fa riferimento a Il capolavoro sconosciuto di Honoré de Balzac, utilizzandolo come parabola sull’inafferrabilità dell’immaginazione visiva e sul profondo divario tra espressione linguistica ed esperienza sensibile. Per Balzac non è possibile trasporre l’immaginazione attraverso l’arte e chiunque sia ossessionato dal provare a farlo, rischia di perdersi: il vecchio Frenhofer dapprima elogiato e ammirato,  è incompreso dai colleghi e condannato alla solitudine, infine viene preso per pazzo dai pittori a cui mostra il suo capolavoro. Per spiegare la molteplicità, quinto valore da salvaguardare e il romanzo contemporaneo inteso come enciclopedia e come rete di connessioni tra fatti, persone, oggetti, Calvino parte da una lunga citazione di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda e poi descrive il collega come un ingegnere con l’ossessione della scrittura e la mania dell’enciclopedismo. Ogni oggetto si trova al centro di una rete di relazioni, inoltre la conoscenza delle cose esige che tutto sia nominato, definito, collocato nello spazio e nel tempo. La stessa tensione tra esattezza razionale e deformazione degli eventi umani è stata espressa anche da Robert Musil inL’uomo senza qualità, da Marcel Proust in La Recerche e poi da Flaubert e da Queneau. Calvino cita altri esempi come il prediletto Borges ma la conclusione è la stessa: la molteplicità è una qualità da perseguire perché solo l’intreccio di saperi e codici offre una visione plurima e sfaccettata del mondo, del resto “Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario di oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili”.

Ecco allora l’ultimo insegnamento di Calvino, “la letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione”.

Solo così, per esaurite che siano le storie, per poco che sia rimasto da raccontare, “Little is left to tell“, diceva Beckett in Ohio Impromptu, si continua a raccontare ancora.

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