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BOVARISMO: desiderio di evasione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1848 lo scrittore francese Gustave Flaubert si trovava ad affrontare un momento critico per qualsiasi scrittore, la mancanza di ispirazione. I suoi più cari amici, Louis Bouilhet e Maxime du Camp, gli suggerirono di trattare un argomento che gli permettesse di evitare, a loro avviso, i punti deboli della sua scrittura: l’eccessivo lirismo e la stravaganza dell’immaginazione. Pensò così di trattare un fatto di cronaca, quello di una piccola borghese di provincia, Delphine Couturier Delamare, seconda moglie di un ufficiale sanitario di Rouen, suicidatasi col veleno il 6 marzo del 1848, perché travolta dai debiti. Gli stessi temi Flaubert li aveva trattati anche in Passion et vertu, scritto quando aveva sedici anni, in Mémoires d’un fou e Novembre: in tutti emergevano la stessa incapacità di accettare la vita, la noia, i sogni di evasione, quell’atteggiamento che, dalla protagonista del suo romanzo, Madame Bovary, avrebbe preso il nome di bovarismo. Il termine, coniato da Barbey D’Aurevilly in una recensione, avrebbe rappresentato il titolo di un testo di psicologia del 1892 di Jules de Gaultier, che definì il bovarismo la “facoltà che ha l’uomo di concepirsi altro da com’è”. Madame Bovary incarna il malessere e l’apatia del nostro tempo, l’inquietudine esistenziale, l’insoddisfazione spirituale, la contraddizione lacerante tra ciò che si possiede e ciò che si desidera, la tendenza tipicamente umana di idealizzare una persona, un sentimento, un aspetto della propria esistenza e di conseguenza la scoperta che tutto ciò che si vorrebbe è circostanza impossibile da realizzare. Eppure nessuno condanna la donna, nemmeno l’autore, il quale critica la lettura dei romanzi tardo-romantici che hanno influenzato negativamente le fantasie e i sogni di Emma, probabilmente il personaggio letterario più riuscito; il suo carattere, i suoi stati d’animo affiorano da diversi elementi, dal monologo interiore che ricorda Joyce, dai gesti, dal portamento, dal paesaggio circostante. L’autore si immedesima talmente tanto nel suo personaggio da farlo vivere, secondo qualcuno avrebbe addirittura dichiarato “Madame Bovary, c’est moi”, affermazione sconvolgente per un autore del suo tempo. Anche la citazione che segue, “Ma una donna ha continui impedimenti. A un tempo inerte e cedevole, ha contro di sé le debolezze della carne e la sottomissione alle leggi. La sua volontà, come il velo del suo cappello tenuto da un cordoncino, palpita a tutti i venti, c’è sempre un desiderio che trascina, e una convenienza che trattiene.” È uno dei tanti passi che dimostrano la comprensione di Flaubert dei problemi che assillavano le donne del suo tempo e non solo. Dopo aver sposato Charles Bovary, l’unico potere che Emma può esercitare sul proprio destino è la scelta dell’adulterio, l’unica moneta che possiede per ottenere un qualche vantaggio è il suo corpo. Perfino quando vuole entrare nel magazzino di Monsier Homais, il farmacista di Rouen, per procurarsi l’arsenico con cui si toglierà la vita, deve far ricorso al fascino che esercita su Justin. Riguardo al tema del denaro, Flaubert disponeva di un prezioso documento, i Mémoires de Madame Ludovica, in cui si raccontano le spese eccessive con conseguente sequestro dei beni della moglie dello scultore Pradier. La redazione del romanzo fu lenta e faticosa: Flaubert scriveva dalle dieci alle dodici ore al giorno, di notte fino all’alba, incarnando il suo ideale di vita a servizio della letteratura e diventando ogni giorno di più, un “homme-plume“, un uomo penna. Madame Bovary uscì in sei puntate, tra l’ottobre e il dicembre del 1856, sulla “Revue de Paris“; molti dettagli realistici colpevoli di irritare la morale del tempo furono censurati, una buona sezione della terza parte, l’episodio della seduzione in carrozza per le strade di Rouen e la scena finale della estrema unzione di Emma furono completamente eliminate. Lo scrittore protestò vivacemente sulla stessa rivista e invitò i lettori a vedere negli ultimi capitoli “solo dei frammenti e non un insieme”. Il clamore suscitato dalla denuncia fu all’origine del grande successo di vendita quando l’opera uscì in volume. Tutti pensarono che il romanzo criticasse e trasgredisse la morale borghese, pochi invece colsero la rivoluzione formale operata sul genere.Pubblico e critica ne apprezzarono il realismo e l’osservazione clinica, Maupassant definì l’opera il primo grande esempio di romanzo post-balzachiano per l’analisi psicologica condotta e l’inserimento in un contesto socio-ambientale reso evidente dall’uso del sottotitolo, Costumi di provincia. L’obiettivo della impersonalità, secondo il quale l’autore doveva essere onnisciente come Dio, presente ovunque ma mai visibile, è perseguito con il massiccio uso della focalizzazione multipla, adottando cioè il punto di vista dei personaggi, e del discorso indiretto libero. La monotonia dell’esistenza e la malinconia di Emma sono espressi attraverso i suoi pensieri e nella descrizione di distese piatte, su cui lo sguardo vaga nell’attesa vana di qualcuno o qualcosa che non arriva, o di pranzi quotidiani deprimenti più che confortanti, nell’odore di bollito Emma sente “tutta l’amarezza dell’esistenza” o in alcune belle metafore che ricordano certi Spleen baudelariani. Emma Bovary era destinata a vivere nell’immaginario collettivo, Flaubert crea un ritratto di donna irresistibile e ne esplora tutta la bellezza e la sensualità, descrivendo la linea del collo, l’avorio delle unghie, lo sbattere delle ciglia, i movimenti delle labbra, le sfumature della capigliatura corvina, il colore cangiante degli occhi, i movimenti flessuosi; allo stesso modo alla fine evocherà le sofferenze dell’agonia e la decomposizione del cadavere. Come Don Chisciotte, personaggio amatissimo da Flaubert, Emma si interroga sullo scarto che separa la realtà dalla sua idea e non lo accetta, rifiuta la rassegnazione e la rinuncia, procede di frustrazione in frustrazione, di idealizzazione in idealizzazione fino al tragico epilogo del suicidio, unica via d’uscita. Baudelaire definì il personaggio un “bizzarro androgino”: l’ambizione, la spinta all’azione, il gusto per la seduzione, erano identificati infatti come qualità virili. Depressa e sofferente agli occhi del marito, frivola e leggera a quelli delle altre donne della cittadina, pericolosa e invischiante agli occhi degli amanti, è rigettata verso se stessa. Ne deriva un’immagine di solitudine e isolamento, Emma è imprigionata nello spazio geografico e sociale, nella propria casa, perfino nel proprio io. Qualsiasi tentativo di evasione é condannato alla sconfitta, perfino la maternità viene vissuta male e non come un dono meraviglioso. Emma avrebbe voluto un figlio maschio per riscattarsi e affermarsi, quando invece nasce una femmina, un’altra come lei, il dolore è grande e la bambina viene usata solo per riempire i vuoti della madre. In seguito all’espansione del mercato letterario e al conseguente aumento del numero di lettori, il bovarismo ebbe ampia diffusione e anche il numero di suicidi aumentò; negli stessi anni si parlò di “effetto Werther” in riferimento alla lettura de I dolori del giovane Werther di Goethe. Si cercò di frenare la lettura di romanzi fantastici e sentimentali che riempivano la mente di amori immaginari e di utopie. La lettura non produce lo stesso effetto su tutti; secondo A. Thibaudet, esiste il lecteur de romans ( che prende la lettura per una distrazione momentanea) e il liseur de romans (che confonde la letteratura con la realtà). La predisposizione individuale conta molto: la personalità isterico-narcisistica ad esempio è quella più congeniale all’identificazione con un modello romanzesco o cinematografico.

Il fenomeno resta attuale e preoccupante, ieri era causato e acuito dalla lettura di romanzi, oggi dalla noia e dal senso di insoddisfazione che stimola in alcuni casi la tendenza compulsiva all’acquisto di vestiti, gioielli, oggetti, a volte superflui, proprio come amava fare Emma Bovary. La conclusione non cambia: si resta sospesi tra ambiziosi sogni di gloria e vita mediocre, tra una splendida fantasia e una realtà che inevitabilmente si percepisce triste e opaca.

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